Primo maggio: lavoro, salari e la sfida del futuro

Articolo di Fulvio Giacomassi.

Il Primo Maggio non è solo una giornata simbolica di festa per il lavoro: è, prima di tutto, un momento di riflessione collettiva. Celebrare il lavoro significa anche interrogarsi su cosa stia accadendo nel mondo dell’occupazione e dei salari, sulla tenuta sociale del nostro Paese e sulle prospettive per le generazioni future. Quest’anno, la presenza unitaria delle tre grandi Confederazioni sindacali nelle piazze è un segnale importante, dopo anni di divisioni e approcci differenti. Differenze che, va ricordato, non sono nuove nella storia del sindacato italiano, e che spesso sono nate in momenti di forti cambiamenti politici, economici e sociali come avvenuto negli anni 80, 90 e 2000 dove le identità sindacali rivendicativa/antagonista da una parte  e quella contrattualistica /partecipativa dall’ altra non hanno fatto sintesi provocando azioni differenti nei confronti delle Istituzioni e Controparti. Per questo è improprio parlare oggi di collateralismo sindacale al governo o all’ opposizione.

Dalla pandemia in poi, il quadro del lavoro italiano è stato attraversato da dinamiche complesse. Se da un lato abbiamo assistito a una crescita dell’occupazione e alla ripresa del PIL, dall’altro sono emersi segnali allarmanti: l’inflazione è schizzata verso l’alto, i salari reali sono diminuiti (l’Italia ha perso l’8,7% rispetto alla media OCSE dal 2008), e la produttività è in calo. Un paradosso: più lavoro, ma più povero. Più occupati, ma con meno qualità e meno potere d’acquisto.

Il tasso di occupazione è sì cresciuto fino al 63%, ma da decenni rimane ancora 10 punti sotto la media europea, e la distanza si accentua (-15%} per giovani e donne. Circa un terzo della popolazione in età lavorativa è inattiva. Nel 2024 i salari sono aumentati nominalmente perché realmente sono stati in parte ridotti dal drenaggio fiscale e vi sono ancora più di sei milioni di lavoratori che stanno aspettando da venti mesi il rinnovo contrattuale.  A questo si aggiunge una drammatica situazione demografica dove il 96% dei nuovi assunti ha più di 50 anni e  un drammatico disallineamento tra offerta e domanda dove il sistema produttivo lamenta l’ assenza di candidati adeguati per almeno metà delle posizioni richieste. Il tutto mentre 2,5 milioni di giovani tra i 15 e i 34 anni non studiano e non lavorano e 500mila immigrati irregolari lavorano nel sommerso, spesso in condizioni indegne.

Inoltre già in atto vi sono le transizioni digitali, energetiche ed ecologiche che stanno avendo un impatto sull’occupazione, sui profili professionali e competenze dei lavoratori e nella domanda di lavoro di richieste di diplomati e laureati. Titoli di studio  in aumento in Italia ma che ci vede ancora dieci punti sotto la  media UE.

Serve una nuova visione. Non possiamo più permetterci di competere sul basso costo del lavoro: dobbiamo puntare su qualità, competenze e giusta retribuzione. Per farlo, è necessario uscire dalla frammentazione normativa e costruire un disegno organico e coerente delle politiche del lavoro.

Un disegno organico significa prima di tutto rafforzare la governance istituzionale: tenere insieme politiche attive e passive e i servizi all’impiego, mettendoli in relazione con il sistema scolastico. Molte risorse vengono spese in politiche passive come decontribuzioni, troppo poche per quelle attive come  Centri all’ Impiego, orientamento, riqualificazione e incontro domanda-offerta. Il PNRR, fortunatamente, ha previsto un’iniezione di fondi su questi temi che andrebbero utilizzati al meglio.

Altro aspetto fondamentale riguarda la piena attuazione degli articoli 39 e 46 della Costituzione riguardo la rappresentanza e la partecipaziome. L’ attuazione legislativa del 46  è oggi in fase conclusiva ,servirebbe ora mettere mano a quella dell’ articolo 39. Si permetterebbe in questo modo di dare efficacia erga omnes ai contratti di lavoro firmati dalle organizzazioni o coalizioni maggiormente rappresentative ponendo fine al dumping contrattuale ed economico . Il modello da cui partire esiste già: l’accordo interconfederale del 2011, sottoscritto da tutte le parti e recepito da tutti i contratti nazionali fornisce una base solida da cui trarre una legge sulla rappresentanza moderna ed efficace.

Nel frattempo, resta urgente il tema della sicurezza sul lavoro, con troppi incidenti mortali concentrati nella catena degli appalti. Occorre da una parte una verifica  sull’adeguatezza delle norme attuali che regolano gli appaltia ( qualificazione imprese appaltatrici, responsabilita’ delle appaltanti, uso esclusivo del massimo ribasso ecc) e dall’ altro rafforzare la dotazione organico degli enti di controllo, integrare gli stessi nelle operazioni di controllo e garantire l’ interoperabilità tra le banche dati.

Anche l’immigrazione va affrontata con pragmatismo: 2,5 milioni di immigrati regolari e circa 500mila irregolari lavorano oggi nel nostro Paese e fanno parte del  mercato del lavoro. Servono chiare e precise decisioni di politiche del lavoro sul lavoro immigrato uscendo dall’ ipocrisia di non volere gli immigrati se non per svolgere lavori sommersi e invisibili  Come serve una nuova regolazione che strutturi canali fattibili e trasparenti di immigrazione regolare e legale da introdurre nel nostro mercato del lavoro.

Infine, sul fronte salariale, bisogna riaprire il tavolo triangolare tra governo, sindacati e imprese previsto dall’intesa del 1993 .per governare gli attuali andamenti e gli sviluppi dell’ occupazione e delle retribuzioni. Tale intesa ha prodotto nel tempo ed attraverso la contrattazione la copertura contrattuale per il 97% dei lavoratori ed ha permesso di tenere bassa l’ inflazione per diversi decenni. Non è riuscita ,,complice la produttività vicino allo zero del nostro sistema produttivo ,la scarsa diffusione della contrattazione aziendale e il non rinnovo dei contratti nazionali alla normale scadenza, a fare crescere i salari vedendo così aggravata la situazione salariale con l’ impennata inflazionistica del 22/23.. Ovviamente nella riattivazione del tavolo triangolare andrebbe confermato il sistema della contrattazione rivedendo però gli indicatori (inclusi i beni energetici nell’IPCA), rafforzando la contrattazione di secondo livello attraverso i contratti territoriali e garantendo con regole  stringenti il rinnovo contrattuale alla scadenza. Andrebbero mantenute le due sessioni di confronto Def e Bilancio. Andrebbe poi affrontata la questione della tutela degli oltre tre milioni di lavoratori senza copertura contrattuale : o si da una risposta con l’ attuazione dell’ erga omnes attraverso i minimi contrattuali o in assenza si può rispondere introducendo per questi tipi di lavori e lavoratori una clausola di salario minimo. Inoltre il governo, nell’ ambito delle proprie prerogative, dovrebbe intervenire per restituire il drenaggio fiscale compiuto a scapito delle retribuzioni reali e potenziare ulteriormente la detassazione dei contratti decentrati.

Come si può vedere una politica sul lavoro è possibile affrontando però tutte le problematiche con una visione d’insieme e con una nuova cooperazione e dialogo tra Istituzioni e parti sociali.

 

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