Convegno sulla Giustizia Civile: l’intervento di Marazia

priorità per il funzionamento della giustizia civile non sono, in generale, nuove norme, ma le risorse organizzative

 

Per chi come me si occupa professionalmente di organizzazione è un piacere constatare la convergenza dei relatori di questo convegno sulla conclusione che la priorità per il funzionamento della giustizia civile non sono, in generale, nuove norme, ma le risorse organizzative. Tali risorse vengono generalmente intese innanzitutto come risorse umane adeguate, quantitativamente (viste la riconosciuta scarsezza delle risorse attuali) e qualitativamente. Questo tipo di risorse possono essere trovate, in prima istanza, nell’ambito di un riequilibrio generale degli organici della pubblica amministrazione, con gli strumenti previsti normativamente. Sottolineiamo, per inciso, che nell’utilizzo di questo strumento, non si dovrebbe trattare di attivare puri spostamenti burocratici, ma andrebbe portata grande cura alle competenze, all’orientamento e alla motivazione, altrimenti non si tratterebbe di “risorse”, ma di pura copertura formale di “buchi” di organico. In questo momento, bisognerebbe guardare in particolare alle risorse che si dovessero liberare dalla ristrutturazione delle Province.

Ma vi è un altro tipo di risorse che attengono all’organizzazione e che stanno a monte dell’impiego ottimale delle persone (ma anche di ogni altro tipo di risorse), e sono quelle del management. Alcuni degli interventi precedenti hanno segnalato i noti (pochi) casi di eccellenza di performance  nella gestione delle pratiche dei Tribunali italiani, tra i quali la Corte d’Appello di Torino, il Tribunale di Genova, il Tribunale di Prato. Ebbene, i casi qui citati appartengono alla stessa scuola, quella che vede come essenziale, oltre alla funzione giurisdizionale, e in maniera distinta da questa, l’esercizio di espliciti ruoli di gestione dell’amministrazione, che presidino i risultati di efficienza, di rispetto dei tempi, di accountability rispetto ai cittadini, e non solo di rispetto della legge nelle singole sentenze (con gli strumenti dell’organizzazione del flusso delle pratiche, il cosiddetto “case management”, della motivazione del personale, dell’uso delle tecnologie). Uno dei protagonisti di queste esperienze di eccellenza, riconosciuta a livello internazionale, il dr Mario Barbuto, già Presidente della Corte d’Appello di Torino, e ora ai vertici del Ministero della Giustizia, in una intervista rilasciata allo scrivente e ad uno dei relatori di questo incontro, l’avvocato Danilo Vitali, e pubblicata sulla rivista “Direzione del Personale” del dicembre 2013, titolata “Magistrato e Manager”, fa riferimento alla nozione  di “court management”, di origine americana. In quell’ordinamento il Court Manager è un professionista specializzato, distinto dal magistrato. L’opinione di Barbuto è che nel nostro ordinamento le due funzioni possano coincidere nella figura del Magistrato Dirigente, che è la figura che hanno bene incarnato i capi degli uffici citati. Sarebbe il caso che il dibattito su questo punto, assolutamente centrale (com’è centrale in generale il tema del management in tutta la PA), andasse avanti, per stabilire se è praticabile davvero su questa strada, e cosa si debba fare per incardinarla realmente nell’amministrazione giudiziaria, o se la strada più realistica non sia quella americana, peraltro sicuramente molto più radicale e quindi foriera di conflitti con una magistratura tradizionalmente gelosa dell’autonomia individuale in quanto fonte di garanzia. Naturalmente anche lo studio comparativo con altri casi internazionali dovrebbe aiutare, così come dovrebbe aiutare la comparazione con altri settori di organizzazioni a “burocrazia professionale” (per tutti, la sanità). Comunque, se concordiamo che quello che ci manca non è solo il personale, ma anche l’arte della gestione, la questione è urgente.

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