La centralità dell’energia nella guerra di Putin

Relazione di Diego Gavagnin agli Incontri Riformisti 2022 a Eupilio.

Perché l’aggressione russa è scattata è scattata a febbraio 2021, iniziando quella che io considero la prima guerra di indipendenza europea (sperando che non ce ne siano altre)?
Putin valuta il ricatto energetico fondamentale per la vittoria sull’Ucraina con danni ridotti dalle reazioni occidentali. Aspetta l’occasione giusta per attaccare e la coglie tra l’estate e l’autunno del 2021. Sarebbe il momento giusto, perché prevede che proprio a febbraio 2022 l’Europa sarà senza gas e in ginocchio, con gli stoccaggi esauriti. Lo scorso anno 40% la dipendenza dal gas russo.
Mercato gas primavera-estate 2021: tensione esogena sui prezzi mondiali del gas, ma nella normalità del mercato. Minori investimenti per effetti covid, lite Cina-Australia, siccità in Brasile, calo del vento mare del nord, chiusura imprevista di centrali nucleari. Soprattutto rastrellamento GNL della Cina per la metanizzazione del Paese. 15 milioni di allacci all’anno, l’Italia 18 milioni in 70 anni.
Nel post covid incertezza dei mercati aperti sui tempi della ripresa economica mondiale. La Cina vede i prezzi bassi e ordina alle sue società di comprare.
A settembre mercato corto in Europa per ripresa post covid più forte del previsto ma niente di preoccupante. Contratti gas pluriennali garantiti dai russi, per 150 miliardi di metri cubi. Come negli anni precedenti gli operatori iniziano a chiedere ai russi gas aggiuntivo che si rifiutano di vendere nonostante i prezzi più alti. Se la Russia avesse dato i 40 MLD a pronti che il mercato si aspettava la crisi di prezzo sarebbe rientrata.
A ottobre la situazione peggiora e i prezzi salgono perché ci si rende conto che gli stoccaggi non sono pieni e inizia il timore per mancanza di gas tra gennaio e febbraio 2022 che avrebbe portato a interruzione delle forniture ai clienti finali. La Russia non riempie gli stoccaggi di Olanda, Germania e Austria che ha in gestione. Il momento peggiore per gli stoccaggi è sempre tra fine febbraio e inizio marzo. Il gas si va esaurendo e la minore pressione ne rallenta la risalita.
Per assurdo ci ha salvati il cambiamento climatico, perché l’inverno mite negli USA ha liberato gas che è venuto da noi da novembre e per tutto lo scorso inverno. Così come il caldo anomalo dello scorso ottobre e prima parte di novembre probabilmente ci sta salvando anche quest’anno. Il consumo di gas in inverno aumenta di un terzo.
Attenzione: Putin sa benissimo che il futuro della Russia è legato alla vendita di gas e petrolio da cui dipende circa il 50% del suo bilancio. E per questo ha una attenzione maniacale sul rispetto formale dei contratti. Contratti che pur avendo in buona parte la clausola “take or pay” hanno una grande flessibilità sui quantitativi annuali da consegnare e complesse clausole di forza maggiore, che permettono di non consegnare/non ritirare senza penali.
Se non ci fossero stati gli attentati su tre dei quattro gasdotti del Baltico la Russia avrebbe dovuto ricominciare a rifornire la Germania. L’unico tubo che è stato risparmiato è del Nord Stream 2, quello bloccato da noi, non da Putin.
Per intenderci, in questo momento Putin è nei contratti. Tutte le riduzioni dei rifornimenti sono giustificate dalla Russia per cambiamenti delle regole commerciali conseguenti alle sanzioni economiche e alle interruzioni su un gasdotto in Ucraina che è stato bombardato.
Quindi lo strumento più potente per portare Putin alla pace è l’impegno a non comprare mai più il suo gas rosso sangue e il suo petrolio. Come ha detto esplicitamente Draghi, solo tra tutti i leader europei. Non si fa perché ancora per almeno un anno abbiamo bisogno di un po’ del suo gas per evitare razionamenti e ulteriori crisi industriali. Oggi arriva ancora il 20% del totale dei contratti pluriennali (ma fino a quando?).
Quindi non si dice, e forse qualcuno (la Germania) spera ancora nelle forniture russe a guerra finita. Ma se è rischiosa una politica di annunci diventa fondamentale attrezzarsi per poter essere indipendenti il prima possibile costruendo nuove infrastrutture di approvvigionamento del gas.
Finita l’epoca dei gasdotti, l’unica alternativa è lo sviluppo di rigassificatori e impianti di liquefazione di GNL presso i paesi produttori – come sta diventando l’Egitto – con partecipazione finanziaria dei paesi importatori, per dimostrare che si crede nella redditività degli impianti e si è intenzionati a garantirla.
E qui si pone un altro problema. Fino a quando avremo ancora bisogno di gas? Con una posizione molto ideologica la UE prevede che dovremo smettere entro il 2050. I dati dell’ultimo rapporto dell’AIE ci dicono invece che a livello mondiale il mercato del gas, quasi esclusivamente di GNL, crescerà fino al 2030 e poi si stabilizzerà fino al 2050.
Certamente l’Europa nel 2030 consumerà ancora gas come oggi, intorno ai 340 miliardi di metri cubi, per poi scendere, mentre continuerà a crescere a livello mondiale. Se per gestire l’emergenza dei prossimi anni dobbiamo costruire nuove infrastrutture, in particolare per l’Italia il rigassificatore di Gioia Tauro, dobbiamo quindi garantirne l’ammortamento. Quindi l’impianto va dichiarato strategico e regolato, cioè garantito dalle tariffe anche quando non dovesse essere più redditivo.
Teniamo presente che in futuro dovremo molto probabilmente fornire noi il gas all’Austria e all’Ucraina, se non anche in parte alla Germania, facendo dell’Italia un centro di importazione ed esportazione di gas dal sud verso il nord e nord-est. Per questo Putin, e con lui Berlusconi e va detto anche Prodi, non volevano la separazione dei tubi dalla proprietà del gas e la conversione dei flussi per poter esportare il gas da sud verso nord.
Fu Monti nel 2012, con un colpo di mano, a imporre la nascita di Snam come operatore indipendente dei grandi gasdotti. Posizione sempre tenuta ad esempio da Morando e Quartiani, non dal PD, e adesso fatta propria dal Centrodestra che vedremo se riuscirà a passare dalle parole ai fatti. Negli scorsi 20 anni si è preferito fare dell’Italia un lavandino, dove tutto il gas che arriva si consuma, con i prezzi finali più alti di tutti gli altri Paesi.
Sulla sicurezza energetica in bolletta niente di strano, il rigassificatore OLT al largo di Livorno, che quando è entrato in funzione non era economico, fu dichiarato strategico e mantenuto dalle bollette. Come abbiamo visto quella decisione – che ai consumatori sarà costato qualche euro all’anno – fu fondamentale. Lo dico perché l’Autorità dell’energia all’epoca non era convinta a doverlo fare, pensando alla tutela dei consumatori.
Questo ci dice che sarebbe necessario un atto di indirizzo parlamentare che inserisca la sicurezza energetica negli obiettivi dell’Autorità, assieme agli obiettivi di concorrenza, prezzi e ambiente. Anche se con una interpretazione estensiva la sicurezza energetica è già oggi un obiettivo a tutela del consumatore, come abbiamo visto in questi mesi.
Il giorno in cui si riducesse significativamente il consumo di gas i rigassificatori galleggianti si possono rivendere. A questo proposito mentre noi ne abbiamo comprati due, la Germania se ne è procurata quattro ma in affitto. Da qui il sospetto che la Germania voglia continuare o ricominciare a comprare gas russo in futuro.
Il comportamento dei russi adesso ci ha fatto capire perché la Russia ha sempre, in tutti i rapporti commerciali, privilegiato la durata dei contratti rispetto al prezzo, e perché non voleva l’apertura dei mercati.
Quello trentennale voluto da Berlusconi/Tremonti e approvato poi da Prodi/Bersani nel 2006 è ciò che ci lega ancora a Putin, mentre chi pensava alla sicurezza nazionale già allora suggeriva di investire nel GNL, che arriva via mare da tutto il mondo. Abbiamo forse pagato il gas un pò meno del giusto prezzo ma lo stiamo ripagando con gli interessi adesso.
Alzando lo sguardo, quanto fatto da Putin ci apre gli occhi su un problema che per realismo politico abbiamo troppo trascurato, e cioè i rapporti tra vere democrazie e quindi democrazie economiche, e Paesi fornitori non democratici.
Per questo l’attuale è anche una crisi salutare, che ci ha obbligati a riflettere adesso non solo sulle provenienze dell’energia, ma anche verso le produzioni di materie prime essenziali, componenti elettroniche, forniture alimentare eccetera.
Il presidente USA Biden ad inizio della crisi ha parlato di “alleanza democratica”, che per l’energia potrebbe voler dire una globalizzazione in cui i paesi democratici fanno affari solo con altri paesi democratici. Nel settore del gas sarà presto possibile, perché i principali produttori di GNL sono adesso USA, Australia, Norvegia e altri minori. Se queste produzioni si orientano verso consumatori democratici, le produzioni dei paesi non democratici si orienteranno verso i loro simili, in primis la Cina.
Non lo sto auspicando, e probabilmente non sarà necessario arrivare a tanto, basta infatti che la capacità di produzione e ricevimento lo permetta. Se l’Algeria impazzisse come è impazzita la Russia, o il Qatar o anche l’Egitto, che diventerà presto uno dei nostri principali fornitori, è sufficiente poterli sostituire. Questo non sembrava possibile con la Russia, ma invece lo sarà presto.
Chiaramente il mercato evolverà verso contratti di breve durata rispetto a quelli a lungo termine, ma non è detto che questo comporti aumenti. Quando dieci anni fa entrò sul mercato il GNL USA i prezzi scesero, e gli stessi russi furono obbligati ad abbassarli, per adeguarsi agli andamenti del famigerato TTF.
Diverso il caso del petrolio, perché la produzione è maggiormente concentrata presso Paesi non democratici del Medio Oriente con l’Arabia Saudita in testa. Tanto è vero che nel petrolio c’è un cartello, l’OPEC, gestito da loro, che governa quantità e prezzi aprendo e chiudendo i rubinetti.
La Russia fa parte di questo cartello del petrolio che infatti ha respinto tutte le richieste di tenere i prezzi bassi, nonostante ciò servisse anche a Biden, in vista delle elezioni di mid term. La crisi Ucraina ha alzato i prezzi della benzina negli Stati Uniti, oltre a contribuire all’inflazione, elementi su cui votano gli americani.
Quando si dice che l’America ha interessi economici per far durare la guerra in Ucraina si dice una fesseria. Però gli USA hanno un problema, devono decidere tra vendita di armi agli arabi e prezzi del petrolio. Anche se ho dei dubbi su efficienza e prezzi, la mobilità elettrica su strada potrà dare sollievo, perché la maggior parte del petrolio è ancora usata nei trasporti.
Torniamo ai contratti e a cosa potrà succedere a guerra finita. Come fare per liberare le società importatrici europee dagli obblighi di ritiro del gas russo, quando non lo vorremo più, come a me sembra sacrosanto dopo quello che ha fatto Putin assecondato dalla maggioranza del suo popolo?
Come sta facendo adesso Putin per non darci tutto quello che volendo potrebbe darci, le imprese hanno bisogno di una forza maggiore. Non volendo e potendo noi far esplodere i nostri gasdotti, dovrà essere l’Unione Europea o anche i singoli Stati a dire alle imprese di non ritirarlo.
Vedo una sola strada, dichiarare la Russia paese canaglia, perseguire i suoi governanti per crimini di guerra e quindi ordinare alle compagnie di non ritirare il gas. Poi se Putin ci sarà ancora faccia pure ricorso alla camera di commercio mondiale per avere il rimborso del gas che non ritireremo. E vedremo come andrà a finire.
In ogni caso, se e quando si avvieranno trattative di pace, che dovranno a mio avviso vedere al tavolo anche l’Europa, proprio perché come dicevo all’inizio si tratta di una guerra di indipendenza europea, la denuncia dei contratti di importazione dovrà essere uno dei punti centrali e penso che sarà il più difficile da risolvere.
Non ci sono solo da rimborsare le distruzioni della guerra sul campo, ma anche quelli della guerra economica. Quanto PIL ha perso l’Europa con questa guerra? Adesso stiamo investendo per sostituire il gas russo, e non possono diventare costi irrecuperabili ricominciando a prendere il gas russo rosso sangue come se nulla fosse accaduto.
Se in Russia c’è ancora una società civile dovrà capirlo.

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